NOTA AUDIZIONE DEL 2 MAGGIO 2017

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2017

Facciamo riferimento al Promemoria che le nostre Organizzazioni, maggiormente rappresentative delle 30.000 imprese che operano sul demanio marittimo, hanno già presentato alla Vostra attenzione all'inizio dell'esame parlamentare delle diverse proposte di legge in materia. Promemoria che non solo contiene l'analisi puntuale della questione ma anche le nostre richieste.

Riassumendo, riteniamo positivo che, finalmente, si sia avviato la discussione parlamentare se non per una riforma organica del regime giuridico concernente le concessioni demaniali marittime almeno per l’emanazione di norme che mettano in sicurezza questo settore.

La necessità e urgenza di una riforma deriva, in sintesi, dal venir meno del cd. diritto di insistenza disposto dall’art. 37 del Codice della Navigazione che aveva assicurato la stabilità del settore e garantito il sorgere e lo sviluppo della balneazione attrezzata italiana come sistema di servizi di eccellenza.

Infatti il diritto di insistenza (trasformato poi, nel rinnovo automatico con la legge n. 88 del 2001) non portava mai a scadenza le concessioni demaniali marittime che avevano una durata brevissima: fino al 1993 (Codice della Navigazione) per un solo anno; dal 1994 (legge n. 494\93) di quattro anni e dal 2002 (legge n. 88\2001) di sei anni.

Il legislatore italiano, invece di una lunga scadenza del titolo aveva scelto, per garantire la necessaria stabilità aziendale e la continuità del lavoro, questo diverso meccanismo.

Una scelta normativa che, si badi bene, era non solo puntualmente, continuamente e senza eccezione alcuna applicata dalla nostra Pubblica amministrazione ma anche avallata dalla nostra giurisprudenza amministrativa fino alla sentenza n. 168 del CdS del 2005 con la quale si è determinato una cambio di orientamento.

Da quel momento un intero settore produttivo è rimasto prigioniero di una scelta legislativa (la durata brevissima superata dal cd. diritto di insistenza) che, purtroppo, si è rivelata debole e non più funzionale.

E’ da allora che il settore vive in una situazione di precarietà ed è da allora che il Parlamento si è esclusivamente impegnato a risolvere questo problema limitandosi ad intervenire con le diverse proroghe temporanee al 2015 del d.l. 194\2009 e al 2020 della legge nr. 221\2012 per far fronte alle pressanti richiami della Commissione europea al rispetto dei contenuti dell' art. 49 TFUE ulteriormente chiariti dalla direttiva Bolkenstein.

Ora dopo quasi dieci anni di rinvii è sbagliato suggerire di rinviare ancora e per l’ennesima volta questa urgente e doverosa opera di sistemazione della materia.

Ci rimettiamo alle Vs. valutazioni sullo strumento per attuare questa sistemazione (se con una legge ordinaria o con la delega proposta dal Governo), ma i contenuti normativi che si intendono varare, a nostro avviso, non potranno che doverosamente partire dalla necessità di dare una risposta alle imprese attualmente operanti. 

Infatti in primo luogo sarebbe moralmente e politicamente inaccettabile far pagare alle imprese balneari la scelta dello Stato di rilasciare un titolo concessorio contenente un diritto, quello di insistenza, che sé rivelato costituzionalmente illegittimo.

Ma soprattutto sarebbe contrario, sia al dettato costituzionale che ai principi giuridici europei, emanare una disciplina che non abbia al suo centro la tutela di coloro che hanno confidato in una legge dello Stato e nel comportamento costante ed uniforme della Pubblica amministrazione e cioè il legittimo affidamento.

E’ proprio la sentenza della CGUE del 14 di luglio 2016 Promoimpresa , ad affermare la necessità che si tenga conto, nella disciplina delle concessioni demaniali marittime, della tutela del legittimo affidamento ingenerato dalla normativa pre-esistente e oggi abrogata (v. punto 56 che ha richiamato il punto 92 delle Conclusioni dell’Avvocato Generale).

Ed è il Parlamento europeo con la sua Risoluzione sullo sviluppo turistico P7 TA- PROV(2011)0407 ad aver invitato gli Stati membri “a valutare, in cooperazione con le autorità competenti, 'introduzione di misure compensative per attenuare i danni causati agli operatori turistici dall'introduzione di una nuova legislazione che comporta la perdita dei diritti acquisiti” (punto 56).

Dalla discussione sin qui effettuata, delle diverse proposte di legge in materia constatiamo che il Ddl delega AC 4302 proposto dal Governo costituisce il testo base al Vs. esame.

Su questo Ddl rileviamo che, al momento, sia il testo che le relazioni illustrative di accompagnamento mancano di alcune esplicite e fondamentali tutele delle imprese attualmente esistenti.

I principi che vi sono enunciati a nostro avviso sono troppo generici e quindi potrebbero contenere elementi di incostituzionalità per violazione dell’art. 76 della Costituzione.

Come è noto la delega normativa non può limitarsi alla mera indicazione di finalità, come avviene con il Ddl in questione, ma deve essere idonea ad indirizzare concretamente ed efficacemente l’attività normativa del Governo.

Ma al di là questo aspetto ciò che per noi rileva è che l’assenza di un’esplicita e chiara tutela delle imprese attualmente esistenti rischia di renderlo incostituzionale per violazione del legittimo affidamento delle imprese attualmente operanti.

Una tutela che riteniamo debba avvenire con l’assegnazione, ai concessionari esistenti, di un periodo transitorio di durata almeno trentennale.

SULLA CONCESSIONE DI UN PERIODO TRANSITORIO DI DURATA TRENTENNALE 

E’ questa la prima e principale nostra richiesta che riteniamo essere del tutto compatibile con la sentenza della CGUE Promoimpresa del 14 luglio 2016

E’ vero che la CGUE con questa sentenza ha dichiarato illegittima la proroga ex art. 1 comma 18 della legge 26 del 25 aprile 2010 così come modificata con l’art. 34 duodecies della legge 221 del 17 dicembre 2012.

Ma è altrettanto vero, così come evidenziato da subito in dottrina e anche, da ultimo, in giurisprudenza (v. sentenza TAR Napoli nr. 911 del 14 febbraio 2017) che questa dichiarazione di illegittimità non attiene alla “proroga in sé” e neppure alla sua dimensione quantitativa (di 5, 10 e 30 anni) ma esclusivamente alla sua modalità di assegnazione.

In definitiva, con la sentenza della CGUE del 14 di luglio 2016 Promoimpresa , “bocciando” quella proroga del 2012, non ha negato la compatibilità con il diritto europeo di una norma nazionale istitutiva di un periodo transitorio di durata variabile che tenga conto del legittimo affidamento ingenerato dalla normativa oggi abrogata.

Ed è proprio ciò che noi abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere. 

SUL DIRITTO ALL’INDENNIZZO 

Così come sosteniamo che vi sia l’esplicito riconoscimento del diritto dei concessionari all’indennizzo pari al valore commerciale della propria azienda sia allo spirare della loro concessione, sia nel caso del sub-ingresso forzoso di altri, sia nel caso di sua revoca.

La doverosità dell’indennizzo per i concessionari è stata affermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 28 gennaio 2016 C-375/14, Laezza, relativa alla conformità della cessione a titolo gratuito, alla scadenza della concessione, dei beni e attrezzature utilizzate per l’esercizio dell’attività oggetto della concessione medesima con gli artt. 49 (sulla libertà di stabilimento) e 56 (libera prestazione dei servizi) del Trattato europeo.

Infatti lo Stato italiano nell’assegnazione delle concessioni relative ai giochi e scommesse, ex art. 1, comma 78, lett. b), punto 26, della legge 13 dicembre 2010, nr. 220, aveva prescritto la “cessione non onerosa ovvero della devoluzione della rete infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato all’atto della scadenza del termine di durata della concessione”.

La CGUE, in questa sentenza, ha stabilito che “gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una disposizione nazionale restrittiva, quale quella in questione nel procedimento principale, la quale impone al concessionario di cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco”.

A ciò si aggiunga, nelle motivazioni della sentenza, la indicazione della necessità di “tenere anche conto del valore venale dei beni oggetto della cessione forzata” (punto 42).

Meritevoli di citazione sono, in proposito, le Conclusioni dell’Avvocato generale Nils Wahl laddove precisa “che, anche supponendo che si ritenga che i beni che costituiscono l’oggetto della cessione non onerosa siano stati ammortizzati, ciò non implica affatto che il concessionario di cui trattasi non subisca un danno economico, in quanto questi si vede privato della possibilità di cederli a titolo oneroso in funzione del valore di mercato di tali beni” (punto 98).

Per cui si ritiene, in definitiva, legittimo, doveroso e indispensabile prevedere l’indennizzo in favore dei concessionari per l’eventuale perdita dell’azienda. 

SUI CANONI DEMANIALI 

La riforma dovrà urgentemente definire anche la questione del canone demaniale il cui gettito complessivo è stato definito inadeguato proprio in questi giorni da alcuni Ministri.

I dati riportati relativi sia al numero delle concessioni che al gettito delle concessioni si sono prestati a interpretazioni sbagliate e fuorvianti.

Come ben sanno tutti i settori della Pubblica amministrazione competenti per materia (Agenzia del demanio, Ministero dell’economia, Regioni e Comuni), per la pluralità dei soggetti gestori, non si conoscono dati certi sia sul numero delle concessioni demaniali marittime (tanto che il Ministro per gli Affari europei nel 2015 ha chiesto a tutti i Comuni italiani i relativi dati) sia sull’effettiva entità del gettito del canone demaniale in quanto vi sono delle Regioni (come la Sicilia) in cui lo stesso non va allo Stato e quindi non viene contabilizzato (molto significativa l’ampia e strumentale diffusione del dato siciliano di circa 81.000 euro di gettito che riguarda solo limitatissime porzioni di demanio – quello rientrante nei porti di rilevanza nazionale - mentre si è completamente taciuto che l’intero gettito di circa 10 milioni va alla Regione Sicilia il cui statuto speciale le attribuisce la titolarità del demanio marittimo).

A ciò si aggiunga che, nella stessa contabilizzazione, non sono comprese le maggiorazioni regionali che, in alcuni casi, prevedono persino il raddoppio del canone medesimo.

Il risultato è un sistema ingiusto per cui ci sono concessionari che pagano poco ed altri tantissimo tanto da subire procedure di decadenza e, quindi, di perdita dell’azienda per mancato pagamento.

Ma, soprattutto, si è sottaciuto che il canone demaniale costituisce solo una parte delle uscite che sopportano i balneari italiani in favore dell’Erario.

Come non ricordare che l’IVA che pagano i balneari italiani (al 22 %) è non solo pari a più del doppio di quello di tutte le altre imprese turistiche del nostro Paese (al 10%) ma è la più alta d’Europa (pari al triplo di quella francese e al quadruplo di quella spagnola).

E si potrebbe continuare con la TARI (che si applica all’intera superficie fino a dove ci sono le conchiglie) o all’applicazione dell’IMU (unica categoria di non proprietari a sopportarla), ecc..

E questo lo sanno ormai tutti coloro che, da tempo, sono impegnati per una riforma dei criteri di determinazione dei canoni che è invocata proprio dai balneari che chiedono un sistema più giusto ed efficiente che elimini l’OMI, risolva l’esteso contenzioso per il pregresso e determini canoni equi e sostenibili all’interno di una più generale rideterminazione della parte economica delle concessioni. 

CONCLUSIONE

Per tutto quanto sopra esposto si conclude chiedendo che il Ddl AC 4302 contenga almeno la integrazione che qui di seguito si formula: 

“prevedere, in favore dei concessionari in essere, misure compensative a tutela della proprietà aziendale e del legittimo affidamento consistenti nel diritto a un indennizzo pari al valore commerciale della azienda e al riconoscimento di un periodo transitorio di almeno trenta anni nell’uso della porzione di demanio marittimo oggetto di concessione”.